KINYA

 

 

 

 

 

 

1995 

-Natura ed Esistenza, Il Cancello, Milano

-Party on the Earth, Galleria Internos, Milano

1997 

-Salons dei Salons, Accademia di Brera, Milano

-Segno, Simbolo, Scrittura, Galleria Mazzoleni, Milano

1998

-Solo Show, Gallery Mssohkan, Kobe

1999

-Diploma in Painting,  Accademia di Brera, Milano

2000

-The Birth 2000/1995-2000, Gallery Mssohkan, Kobe

2002

-Hi, Gallery Nichido, Parigi

2003

-Hi, Gallery Nichido, Tokyo, Osaka

-International Grand Prize of Contemporary Art, Monte Carlo

2006

-La Vita, Studio Stendhal, Milano

2009

-Vita da Passare, Gallery Nichido, Tokyo

2012

-Piccolo vaso per con-tenere i miei piccoli oggetti personali, Spazio Bise, Milano

2014

-Numeri Primi, Artist Today, Gallery Nichido, Tokyo

2016

-Piccole Gocce, Gioielli Poetici, Milano, Carte Scoperte, Milano

ITA

Era il 1666 quando Isaac Newton scompose un raggio di luce bianca in tutti i colori dello spettro nel passaggio attraverso un prisma, così associando il colore alla luce. E nella lettura delle opere di Kinya questa associazione è fondante, anche se un secondo livello di lettura deve tener conto di valenze più ambigue e complesse, che abbracciano l’evoluzione storica della teoria del colore. Da Wolfgang Goethe per il quale il fenomeno cromatico è legato tanto alla luce quanto all’ombra, al fisico Eugene Michel Chevreul che alla metà del XIX secolo elaborò la teoria della fusione retinale provocata dalla contiguità di colori puri (teoria cui Impressionisme e Puntillisme sono debitori) così estendendo al colore lo studio dei processi cognitivi quali percezione, memoria, linguaggio ecc. che scandiranno i successivi approfondimenti di Rudolf Steiner, nella sua Essenza dei colori, Vasilij Kandiskij, Paul Klee, Josef Albers, Laszlo Moholy-Nagy ….. Nei lavori di Kinya questa evoluzione concettuale è profondamente presente, ne gradua e scandisce tonalità ed estetica sino a permearne il senso. Ma la percezione del colore è anche legata alla cultura e quella di Kinya, che pur vive in Europa da tempo, è segnata anche da quella orientale che alle forme privilegia i colori , inebrianti e magnifici, che sempre fluttuano tra sobrietà ed esuberanza. E da questa interazione nascono le sue opere che armonicamente fondono sovrapposizione di colori, di forme geometriche e spesso di piccoli segni che richiamano pittogrammi primitivi e interferiscono con strutture antropologiche elementari, basiche, sostanzialmente psichiche, piuttosto che con strutture elitarie del pensiero. Per cogliere la luce pervasiva che gli oli di Kinya sanno emanare è necessario uno sguardo prolungato, fruitivo, ‘vicino’.. da cui germina un rapporto opera-spettatore intenso che supera la soggettività del guardante, quasi opere ‘aperte’ inducenti riflessioni e rimeditazioni che rintracciano nuove frontiere della spiritualità contemporanea. Il ruolo attivo dello spettatore nella decodificazione dell’ oggetto estetico sembra oggi occupare una posizione prioritaria perchè interviene , come disse Eco, “a colmare vuoti semantici a ridurre la molteplicità dei sensi, a scegliere i propri percorsi di lettura….” E al proposito dice Kinya : “…sono l’uomo che coltiva i campi di colore e semina. Continuerò a seminare pian piano, sperando che nasca qualcosa dentro chi osserva le mie opere” In

ENG

In 1666 Isaac Newton decomposed a ray of white light into all the colors of the spectrum passing through a prism, this way associating color with light. This association is fundamental for the interpretation of Kinya’s work, even if a second level of interpretation must take into account more ambiguous and complex meanings that embrace the historical evolution of color. From Wolfgang Goethe, for whom the chromatic phenomenon is linked both to light and to shade, to the physician Eugene Michel Chevreul who in the mid 19th century elaborated the theory of the retinal fusion caused by the contiguity of pure colors (theory to which Impressionisme and Puntillisme owe a lot), this way extending to color the study of cognitive processes such as perception, memory, language etc. which will articulate the following in-depth analysis carried out by Rudolf Steiner in his Essence of Colors, Vasilij Kandiskij, Paul Klee, Josef Albers, Laszlo Moholy-Nagy… In Kinya’s work this conceptual evolution is very present and it graduates and sets the tonality and esthetic permeating the meaning. However, perception is also linked to culture and Kinya’s, even if he has been living in Europe for a long time, is also marked by the oriental heritage, which privileges inebriating and magnificent colors to shape, colors that always fluctuate between sobriety and exuberance. From this interaction his work is born; his pieces harmonically merge together the overlapping of colors, of geometrical shapes and often of small signs that recall primitive pictograms and interfere with anthropological elementary, basic and substantially psychic structures, rather that with the elitist structures of the mind. In order to grasp the pervasive light that Kinya’s oils emanate, a prolonged, enjoyable and “close” look is necessary; a look from which an intense work-public relationship germinates, overcoming the subjectivity of the spectator; they are almost “open” works of art that induce reflections and re-mediation that reach new boundaries of modern spirituality. Nowadays, the active role of the spectator in the codification of the esthetic object seems to occupy a prior position because it intervenes “in the filling of the semantic emptiness and in the reduction of the multiplicity of senses, in choosing one’s own reading paths…” quoting Eco. And about this, Kinya says: “…I am the man who cultivates fields of color and sows. I will continue to slowly sow, hoping for something to grow inside those who observe my work”.